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La filosofia con i bambini per l’avvio alla scrittura e alla lettura

Pubblicato il: 02/09/2010 12:41:00 -


Se si promuove il dialogo, nella dimensione dell’ascolto e della parola, i bambini non sapranno più distinguere campi disciplinari in cui la domanda va taciuta e campi in cui va detta. Si sentiranno liberi di valicare i confini ristretti di una disciplina – ammesso che ne abbia. Se intendiamo il filosofare come un atteggiamento euristico, di ricerca, diventa abito del quale non è facile spogliarsi.
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Fare filosofia con i bambini è vivere un’altra relazione educativa che trova nel non sapere e nell’ascolto la sua espressione più alta. Fare filosofia con i bambini risponde anche a un’idea di conoscenza come dialogo e come cambiamento. Conoscenza che non è solamente tecnica. Conoscere non è accumulare nozioni, informazioni o dati, implica il saper pensare e non solo assimilare i contenuti scolastici. Conoscere significa etimologicamente “nascere con”; è stabilire relazioni, creare vincoli.

Capita talvolta che il filosofare esca dai confini del proprio tempo.

Se intendiamo il filosofare come un atteggiamento euristico, di ricerca, diventa abito del quale non è facile spogliarsi. Nasce l’esigenza di impegnare i bambini, nelle ore di italiano, nella scrittura dei loro interventi perché il ragionare insieme non trascuri l’esercizio dello scrivere. Tutti trascrivono la discussione nel suo farsi. Un ripetere i propri pensieri per ri-pensarli e com-prenderli meglio.

Questa l’esperienza che mi ha portato, infine, a pensare la filosofia con i bambini come risorsa pedagogica per l’avvio alla scrittura e alla lettura.
Quanta fatica vivono i bambini quando incontrano la pagina scritta!
E se l’incontro riguardasse i loro perché?
Luca chiede “Perché è giorno?… Perché è notte?”
Scrivo alla lavagna i perché di Luca.
Invito i bambini a riprendere sul quaderno il testo scritto alla lavagna.
Cerchio di rosso le parole “giorno” e “notte”.
Le riscrivo alla lavagna disegnando di seguito una notte stellata e il sole che splende in un cielo sereno. In basso il nome del bambino autore dei perché.
Accompagno i bambini nella trascrizione sul quaderno.
Qualcuno è più veloce, qualcun altro s’attarda, non importa. Alcuni bambini avanzano ipotesi.
“È notte perché il sole è stanco e va a dormire”.
Il disegno della notte si colora di altri elementi. Il cielo stellato e il sole che dorme. Semplici intuizioni metodologiche le mie.

LE PAROLE DEI PERCHÉ

In questa fase di interrogazione sulle cose del mondo incontriamo le parole che mi consentono di costruire insiemi di parole con suoni duri e suoni dolci, con doppie e senza doppie, con diagrammi sc-gn-gl.

COSTRUZIONE DI UNA FIABA

Invito i bambini a scegliere una parola dal gruppo degli insiemi per costruire una fiaba a partire da un perché. Un bambino chiede: “Perché solo alcune parole hanno le doppie?”.

C’era una volta un bambino che chiedeva “perché solo alcune parole hanno le doppie”. L’elaborazione della storia coinvolge tutto il gruppo dei bambini.

Prendo nota del racconto, oriento gli interventi, mi impegno ad assicurare un clima sereno. Riporto infine la fiaba, trascritta in word, su un cartellone che appendo alla parete. I disegni dei bambini la rendono ancora più magica. Nasce il desiderio di riconoscersi in quella frase che si è detta. Non più una lettura imposta ma desiderata.

LE IPOTESI DEI BAMBINI

Ritorniamo alla domanda “Perché solo alcune parole hanno le doppie?”. Mettiamo da parte la magia del racconto. Accolgo le ipotesi dei bambini.

È un lavoro che presenta limiti e possibilità.
I limiti stanno nel tempo che il lavoro di discussione comporta.
Le possibilità nella partecipazione attiva dei bambini che si interrogano lasciando emergere le proprie esperienze e i vissuti.
“Le parole con le doppie sono più forti”
“Le doppie sono come i muscoli.”
“Sono parole che si sono allenate e sono diventate più forti delle altre.”
“Ci sono parole che se perdono le doppie diventano altre parole, come cassa-casa”.
“In una guerra senza la doppia nessuno più muore.”
I bambini trascrivono sul quaderno i loro pensieri. Avranno modo di rileggerli a casa. Impazienti di mostrare ai genitori le loro idee e quelle dei compagni.

L’EDUCAZIONE COME DIALOGO

Il dialogo come metodo per la ricerca del bene comune. Parlo di una pratica.

La conoscenza si alimenta nella relazionalità, poiché dall’alterità prende quegli spunti per poter trovare e intraprendere nuove strade, che permettono di condurre la persona verso nuove forme di consapevolezza e quindi verso nuove forme di conoscenza sia del mondo che di sé.

Vivere la parola e/o gesto dell’altro come fonte di ispirazione dei propri pensieri.

Non basta rispettare il punto di vista dell’altro-dell’altra. Occorre saper provare meraviglia, stupore per le parole dell’altro, quantunque l’altro non sia il mio compagno di banco e forse non mi sta nemmeno simpatico, però non posso non ammettere pubblicamente che il suo punto di vista fa più ricca la mia prospettiva. Sapersi lasciare ispirare dal discorso dell’altro è espressione di ascolto vero.

Pina Montesarchio

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